Durante il Festival del Digitale Popolare abbiamo incontrato Giovanni Anastasi, presidente di Formez, per riflettere insieme sul futuro della Pubblica Amministrazione nell’era dell’intelligenza artificiale. È stato un dialogo sincero, pieno di energia e di umanità, che ci ha ricordato come l’innovazione non sia mai solo una questione di strumenti, ma soprattutto di sguardi e di persone.
Quando gli abbiamo chiesto in che modo l’età media dei dipendenti pubblici incida sulla capacità delle amministrazioni di innovarsi, Anastasi ci ha risposto in modo diretto: “Incide, ma non così tanto”. La tecnologia, ci ha spiegato, è capace di avvicinare le generazioni più di quanto si pensi. “Molte persone anziane si avvicinano al digitale per uscire dalla solitudine. E questo, di per sé, è già un atto di innovazione.” Le sue parole ci hanno colpiti perché ribaltano un luogo comune: il vero limite non è l’età, ma la chiusura mentale. “Il tempo che ho perso nella mia vita – dice – è quello dedicato ai pregiudizi. Dobbiamo lasciare alle persone la possibilità di sorprenderci.”
Questo approccio ci ricorda che innovare non significa escludere chi c’era prima, ma costruire ponti tra generazioni, permettendo a ciascuno di contribuire in modo diverso. L’innovazione, allora, è prima di tutto un atto di fiducia: nella curiosità, nella capacità di imparare, nella voglia di mettersi in gioco anche quando sembra troppo tardi per farlo.
Parlando di intelligenza artificiale, Anastasi ci racconta che “la tecnologia sarà sempre più qualcosa che si può prendere dallo scaffale, ma la differenza la farà il linguaggio, la capacità di farla crescere”. Formez ne ha già fatto esperienza con Camilla, l’assistente virtuale che in dodici mesi ha evaso circa centomila domande di concorso pubblico. È un esempio concreto di come l’AI possa semplificare i processi, ridurre i tempi e migliorare l’accesso ai servizi, ma Anastasi ci invita a guardare oltre la velocità e i numeri: “Nel privato l’efficienza significa fare soldi. Nel pubblico, significa essere riconosciuti dai cittadini, far percepire che le cose funzionano”.
In questa visione, la tecnologia non sostituisce le persone, ma le libera da vincoli superflui. È uno strumento di disintermediazione, capace di rendere le informazioni accessibili e di abbattere le barriere che rallentano la macchina pubblica, rendendola meno distante dai cittadini. L’AI, ci viene detto, può democratizzare la conoscenza e correggere quei comportamenti che ancora oggi ostacolano la crescita collettiva. “Non giudichiamo la macchina peggio dell’uomo: l’intelligenza artificiale può sbagliare, ma spesso molto meno di noi. E quella differenza può salvare delle vite.”
Verso la fine dell’incontro, Anastasi ci lascia con un invito che suona come un appello generazionale: “Entrate nelle cose. Non restate fuori a criticare. Se l’auto non la guidate voi, la guiderà qualcun altro, e non sempre farà i vostri interessi.” Ci ha fatto riflettere, perché troppo spesso noi giovani guardiamo al mondo della Pubblica Amministrazione con distacco, come in un luogo lontano, lento, chiuso. Ma se non siamo noi a portare dentro la nostra energia, la nostra competenza, la nostra idea di futuro, chi lo farà?
Le sue parole ci ricordano che cambiare la PA non è un compito di pochi, ma una responsabilità condivisa. Innovare non vuol dire sostituire, ma prendersi cura: delle persone, dei processi, dei cittadini. È un percorso che parte dall’ascolto e dal coraggio di partecipare, anche quando sembra più facile restare ai margini.
E forse è proprio questo il senso più profondo dell’incontro: capire che la tecnologia, da sola, non basta. Servono sguardi nuovi, mani che si sporcano, menti curiose. Serve la voglia di entrare nelle cose, di guidare il cambiamento invece di aspettarlo. Solo così la Pubblica Amministrazione potrà diventare ciò che deve essere: uno spazio vivo, aperto, vicino alle persone.