Il primo passo per plasmare il futuro è dotarsi delle infrastrutture necessarie, ma non è utile avere un computer molto potente se poi non si sa come accenderlo.
C’è un’Italia che corre veloce sulle infrastrutture, ma inciampa ancora sulle competenze. E c’è un’altra Italia, quella dei giovani e delle scuole, che sta cercando di capire come convivere con un mondo sempre più digitale, senza perdere di vista la propria umanità.
Il panel di cui i punti salienti sono raccolti in questo articolo, ha riunito voci diverse, dal mondo delle telecomunicazioni, della formazione e della tecnologia, per affrontare un tema che tocca tutti: come educare, connettere e responsabilizzare le persone nell’era del digitale.
Ad aprire il confronto è stato Roberto Basso di Wind Tre, con una riflessione profonda sul legame tra tecnologia e psicologia.
Basso ha raccontato come, attraverso un progetto che ha coinvolto 7.000 scuole italiane (di cui 533 in Piemonte, due classi per istituto, per un totale di oltre 500.000 studenti), l’azienda stia cercando di creare consapevolezza digitale tra i ragazzi — e, attraverso di loro, anche tra i genitori.
Un concorso interno ha invitato gli studenti a progettare corsi digitali per i loro coetanei, ribaltando la logica della lezione frontale: sono i giovani stessi a costruire contenuti per altri giovani. L’obiettivo? Ridurre quella distanza emotiva e cognitiva che la tecnologia, talvolta, amplifica.
La riflessione si è poi spostata su un altro tema cruciale: il digital divide.
Secondo Basso, l’Italia negli ultimi anni ha colmato gran parte del divario infrastrutturale grazie a politiche pubbliche e investimenti privati, tanto da posizionarsi oggi tra i migliori Paesi europei in termini di copertura e reti.
Eppure, il quadro resta paradossale: siamo quartultimi in Europa per competenze digitali. Un nodo che non si scioglierà senza politiche nazionali mirate all’educazione digitale, fin dalla scuola primaria.
Basso ha poi anticipato i progetti futuri di Wind Tre, molti dei quali legati al 5G e alle sue applicazioni sociali. Tra questi: droni per il monitoraggio del territorio in collaborazione con Torino, il Politecnico e la città di Riga, soluzioni di geolocalizzazione per il turismo e i trasporti, e un 5G stand-alone, capace di mantenere connettività anche durante grandi eventi o emergenze. “Questo è il futuro e ci sta già accogliendo” ha concluso Basso
Un altro contributo significativo è arrivato da Andrea Fedeli, rappresentante di Aware, una realtà no profit impegnata in formazione gratuita per under 30 e proposte di policy.
Fedeli ha raccontato come, a Roma, stiano lavorando per aprire un “ostello civico”, uno spazio ibrido per ospitare studenti Erasmus e incubare progetti di innovazione sociale.
Per l’azienda le criticità del presente possono diventare opportunità di crescita, se accompagnate da visione e partecipazione.
Chiudendo il panel, Elena Salviato ha portato il pubblico dentro il tema più attuale di tutti: l’intelligenza artificiale applicata alla città.
Ha parlato di GPT “cittadino”, un modello di assistenza digitale che potrebbe trasformare il modo in cui i cittadini interagiscono con la pubblica amministrazione.
E interessante soprattutto il sistema che potremo avere in futuro per ottenere informazioni. Ad oggi, per cercare un dato dobbiamo navigare per ore su siti complicati pieni di burocrazia e rimandi, oppure attendere la risposta di un call center. In tempi non troppo lunghi, un assistente AI potrà rispondere in modo chiaro, veloce ed efficace, rimanendo disponibile a tutte le ore del giorno senza tempi di attesa.
Un futuro già in movimento: 13 milioni di italiani usano GPT, e oltre metà delle aziende (53%) ha adottato Copilot.
La burocrazia potrebbe presto diventare uno sportello digitale realmente accessibile.
Il panel ha mostrato un’Italia viva e in cammino: tra psicologia, innovazione, educazione e infrastruttura. Un mondo in cui si sta passando rapidamente dal passato al futuro.
Una cosa è chiara: la rivoluzione digitale non è solo tecnologica, ma soprattutto umana e sociale.
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