Durante la prima giornata del Festival Digitale Popolare 2025 abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Alessandro Mercuri, Psicoterapeuta e Wellbeing Strategist.
Ci siamo confrontati riguardo l’intelligenza artificiale, il suo utilizzo e gli effetti sulla mente umana.
Dato che non si conosce bene la mente umana, l’IA può essere utilizzata come strumento per mapparla e quindi conoscerla al meglio?
Quella della mente umana è una questione che dura da qualche migliaio di anni. Cerchiamo di capirne il funzionamento.
Sicuramente l’intelligenza artificiale, come altre tecnologie, puó essere un utile strumento per cercare di capire il funzionamento della mente ma soprattutto il non funzionamento, o meglio, lo studio di tutte le malattie neurodegenerative e l’implicazione delle parti neuronali, di connessione o disconnessione. Malattie come l’Alzheimer, malattie degenerative potrebbero usufruire del fatto che questa tecnologia riesce ad analizzare i dati in maniera molto più rapida e veloce. Di questo credo che non ci si debba spaventare, ma anzi possa essere un valido strumento per analizzare i dati che arrivano da mappature fatte con strumentazioni tecnologiche che permettono di far capire la dimensione delle connessioni neuronali, il funzionamento dei neurotrasmettitori e degli ormoni, anche a livello sia endocrino che cerebrale, quindi penso che sia uno strumento utile in questo senso.
Le intelligenze artificiali possono essere strumenti atti durante la cura con il paziente? Per esempio, a raccogliere dati piuttosto che a trovare esercizi da fargli fare. È fattibile come utilizzo?
Al momento ancora forse no. Sono state fatte delle sperimentazioni. Per esempio, nei veterani della guerra che c’è stata in Afghanistan sono state utilizzate tecnologie per cui l’intelligenza artificiale, diciamo, si sostituiva a uno psicologo, ma questo ha generato un fallimento quasi in partenza di questo tipo di tecnologia.
Sicuramente la tecnologia può aiutare in questo senso, per esempio sul tema dell’immersione in un ambiente quasi reale per superare, magari, una fobia. Questo può essere d’aiuto, è uno strumento, un mezzo.
Qualcuno prima diceva qui al festival che social media vuol dire mezzi, no? E quindi di conseguenza vanno utilizzati come tali e per la dimensione dello psicologo possono anche tornare utili a mio avviso ma non ancora ecco, magari nel futuro.
Prima ci ha parlato delle problematiche. A proposito di problematiche, cosa ne pensa dell’AI psychosis?
L’idea che sostanzialmente le persone possano dialogare con un’intelligenza artificiale e in qualche modo trarne un beneficio, va presa un po’ con le pinze perché dipende molto da che cosa viene chiesto, no? Per esempio, può capitare che qualcuno chieda dei riferimenti di libri o di testi che possano essere utilizzati per essere d’aiuto o di supporto in un momento particolare della propria vita. Allora, in questo caso l’intelligenza artificiale è utile perché mi permette con facilità, senza recarmi magari in una biblioteca, di avere dei riferimenti, dei testi o quant’altro. È ovvio che se io invece utilizzo lo strumento dell’intelligenza artificiale come sostitutivo, diciamo, della conoscenza, ci sono ancora tanti bias. Quindi credo che non sia ancora tempo di questo tipo di utilizzo. Non so se lo sarà mai.
Al momento mi sembra di poter dire che bisogna saper utilizzare l’intelligenza artificiale e non usarla così a caso.
Sempre per l’utilizzo di questi strumenti, ha dei consigli per persone che sono meno abbienti con l’utilizzo dell’IA piuttosto che per persone molto giovani?
L’utilizzo è importante che sia sempre fatto in maniera consapevole.
Facciamo un esempio, un ragazzino che studia immaginando di farsi fare i compiti dall’intelligenza artificiale, no? Quello che una volta era l’uso del Bignami, adesso è l’uso dell’intelligenza artificiale. Questa roba qua impigrisce il cervello. È proprio dimostrato scientificamente che la pigrizia del cervello, con l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, aumenta e questo significa essere sottoposti poi a malattie degenerative e ad un’intelligenza, una conoscenza minore rispetto ad altre epoche. È rischioso, bisogna saperla utilizzare.
Invece un ragazzino, prendiamo l’esempio di prima, che chiede all’intelligenza artificiale di allenarlo su una verifica facendogli delle domande, questo sì che è un utilizzo che allena la mente
Quindi io dico che l’intelligenza artificiale deve allenare e non impigrire. Pensiamo sempre a questo continuum: allenare o impigrire. Se noi ci muoviamo verso la dimensione dell’allenamento, della creatività e dell’approfondimento, questa è una dimensione positiva. Se noi ci muoviamo in una dimensione di pigrizia mentale, cercando di sostituire le cose che facciamo ogni giorno con l’intelligenza artificiale, questo va a diminuire le connessioni neuronali e ci fa stare peggio. Quindi, non c’è una risposta univoca, è complesso.
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